Essere a.s.d. non significa essere privi di fine di lucro

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In breve

La qualificazione di a.s.d. deve essere accompagnata dal concreto accertamento di attività senza finalità lucrative

La Commissione Tributaria Regionale della Campania si è pronunciata, in sede di appello, sul ricorso presentato da una società polisportiva. L’a.s.d. in questione aveva ricevuto un accertamento fiscale nella propria sede da parte dell’Agenzia delle Entrate, la quale a conclusione della propria attività di controllo aveva emesso il processo verbale di constatazione per le violazioni rilevate, con il quale erano stati decretati il disconoscimento dello status di ente associativo no profit e la rideterminazione di maggiori imponibili ai fini delle imposte.

La società dilettantistica, a seguito della sanzione, agiva in giudizio per ottenere il suo annullamento e, in primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale, visti i fatti di causa, decideva per il rigetto del ricorso, stante l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime fiscale di vantaggio introdotto dalla legge 398 del 1991 e il doveroso recupero a tassazione delle somme, non essendo sufficiente il mero rispetto formale delle disposizioni contenute nella norma.

Contro tale decisione l’ente proponeva appello, sostenendo l’illegittimità della sentenza e il conseguente annullamento dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 148, comma 3 del Tuir e art. 90 della l. 289/2002.

La disposizione del Tuir prevede infatti che “per le associazioni sportive dilettantistiche non  si  considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione  degli  scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi  specifici nei confronti degli iscritti,  associati  o  partecipanti,  di  altre associazioni che svolgono la medesima  attività  e  che  per  legge, regolamento, atto costitutivo  o  statuto  fanno  parte  di  un’unica organizzazione  locale  o  nazionale,  dei  rispettivi  associati   o partecipanti  e  dei  tesserati   dalle   rispettive   organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.

La CTR campana ha valorizzato il concreto elemento fattuale dell’attività svolta. Difatti le società, non solo, sono tenute ai diversi adempimenti formali al fine di determinare la natura dilettantistica e le modalità di esercizio dell’attività, quindi inserendo nei propri atti costitutivi e statuti tutte le clausole indicate per godere del trattamento fiscale agevolato, ma deve anche essere accertato che la loro attività sia svolta nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole suddette.

Pertanto le fattispecie previste dal comma 8 dell’art. 148 Tuir (divieto di distribuzione di utili, obbligo di devoluzione del patrimonio dell’ente, il diritto di voto degli associati, il rendiconto economico e finanziario annuale, l’intrasmissibilità della quota associativa) devono essere riportate negli atti costitutivi della società ed essere concretamente applicate e accertate.

L’accertamento in concreto di un’attività senza fine di lucro è pertanto un passaggio valorizzato dai giudici di legittimità nelle loro molteplici pronunce, non essendo sufficiente pur essendo obbligatorio, il semplice elemento formale, quale l’affiliazione e l’iscrizione nei registri Coni, per godere dei vantaggi fiscali concessi (Cassazione sentenza 11456/2010, ordinanza 14696/2018, ordinanza 8182/2020, ordinanza 21185/2020, ordinanza 4331/2021 e ordinanza 29800/2022).

Inoltre, in caso di disconoscimento della natura associativa dell’ente, si determina di conseguenza la decadenza dal regime fiscale di favore. La legge 398/1991 assicura infatti la determinazione forfetaria del reddito imponibile e dell’IVA, oltre ad esonerare da adempimenti contabili, per le associazioni sportive dilettantistiche, a condizione che siano rispettati i parametri fissati dal legislatore affinché tale veste societaria non si configuri come l’occasione per svolgere fittiziamente attività commerciale con minori oneri e adempimenti in materia di tasse.

Nel caso di specie all’attenzione del giudice tributario di secondo grado, la conduzione dell’attività da parte dei soci dominanti svelava un tipo di gestione imprenditoriale, che consentiva ai membri di ottenere la distribuzione di utili di gestione sotto la qualificazione di associazione non commerciale, che in realtà tale non era. Pertanto il Collegio ha dichiarato il venir meno della natura associativa, la decadenza dal regime fiscale agevolato e la conversione a tassazione ordinaria dell’intero ammontare dei ricavi dichiarati.

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